allarme rosso

A volte il diavolo si nasconde nei dettagli come recita un antico detto. In questo caso il dettaglio è l’art. 4 comma 4 punto B inserito nel disegno di legge sul Made in Italy, approvato dal Consiglio dei Ministri il 31 maggio scorso e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 Agosto. Il ddl ha come obiettivo la valorizzazione e la promozione delle eccellenze e del patrimonio artistico-culturale nazionale. Ebbene, questo articolo di fatto prevede la revoca di 300 milioni di euro destinati al Fondo per il sostegno al Venture Capital costituito presso il Mimit – che avrebbero come destinatario finale startup, Pmi innovative e fondi di venture capital – per finanziare un nuovo fondo dedicato al Made in Italy.

La decisione ha allarmato, e non poco, InnovUp – Italian Innovation & Startup Ecosystem, l’Associazione che riunisce e rappresenta l’ecosistema italiano dell’imprenditorialità innovativa, e Italian Tech Alliance, l’Associazione italiana del venture capital, degli investitori in innovazione e delle startup e Pmi innovative italiane. In una nota congiunta le due associazioni hanno denunciato le conseguenze dannose che questo articolo potrebbe avere su startup e Pmi innovative oltre che su tutti gli operatori della filiera del venture business. Secondo le due associazioni, la revoca dei 300 milioni di euro è “un’operazione in netta controtendenza con la direzione intrapresa nel 2019 con il lancio del Fondo Nazionale Innovazione – Cdp Venture Capital -, creato con l’obiettivo di favorire la crescita delle nuove imprese tecnologiche e supportare l’economia dell’innovazione”. Per questo chiedono un urgente incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per chiarire l’orientamento politico del governo sul settore. L’obiettivo è far reintegrare i fondi naturalmente destinati alla gestione Cdp Venture Capital.

“Per un settore che conta più di 17mila tra startup e Pmi innovative con un fatturato complessivo di 9,5 miliardi di euro solo nel 2022 e in grado di movimentare oltre 2 miliardi di investimenti di capitale di rischio, i fondi messi a disposizione di Cdp Venture Capital per le startup sono di vitale importanza per favorire la crescita di tutta la filiera dell’innovazione nazionale – afferma Giorgio Ciron, direttore di InnovUp – Le startup rappresentano il più forte segmento di crescita del Pil in ciascuna economia occidentale, nonché il più importante driver di crescita occupazionale della nostra economia; nell’ultimo anno hanno contribuito alla creazione di nuovi posti di lavoro con un saldo positivo di 343 mila addetti, valore pari a circa i due terzi del saldo occupazionale netto complessivo (dati Cerved, 2022)”.

A fargli eco è Francesco Cerruti, direttore generale di Italian Tech Alliance: “Siamo convinti del fatto che le imprese innovative possono giocare un ruolo chiave nel rilancio sociale ed economico del Paese, così come avviene all’estero, e ci adopereremo affinché la dotazione in capo a Cdp Venture Capital non solo non venga ridirezionata, ma possa aumentare nei prossimi mesi”.

Le ricadute sul settore insurtech

La revoca dei 300 milioni avrebbe a cascata anche un impatto sul settore insurtech italiano. Gli investimenti in questo mercato avevano cominciato ad aumentare, poi la crisi economica e la stretta finanziaria hanno rallentato la loro crescita. Adesso l’articolo contenuto nel ddl Made in Italy rischia di mettere in serio pericolo un segmento già fragile di suo. Per questo gli operatori si dicono preoccupati.

A cominciare da Simone Ranucci Brandimare, presidente di IIA-Italian Insurtech Association, associazione che ha come principale obiettivo quello di sostenere e accelerare l’innovazione dell’industria assicurativa. “Già da tempo stiamo notando che l’attenzione governativa e delle politiche economiche non è sufficientemente orientata alla crescita, ma è prevalentemente finalizzata all’ottimizzazione e alla gestione della spesa pubblica, questa cosa ha le gambe corte perché dopo anni di stagnazione post-covid, in linea con quello che abbiamo visto anche da altre realtà europee che sono cresciute, noi dobbiamo puntare sullo sviluppo, sulla nascita di nuove aziende e sulla crescita di queste ultime. Per far questo – spiega – dobbiamo non diminuire, ma decuplicare gli investimenti in tecnologia, in innovazione e startup. Ciò significa puntare sulla crescita che è l’unico modo per risanare nel breve i conti pubblici”.

A condividere la preoccupazione del presidente di IIA è anche Marco Contini, insurance business advisor. “Dall’innovazione, dalle startup e dalla contaminazione tra queste realtà passa il futuro dello sviluppo economico del Paese. La revoca dei 300 milioni destinati al sostegno del venture capital è certamente un pericoloso segnale lanciato al mercato insurtech che in Italia già da tempo sta soffrendo per un ritardo enorme, rispetto ad altri paesi europei, sugli investimenti in innovazione e tecnologia. Se il governo lancia questi segnali il messaggio al mercato è certamente devastante”.

Laura Grassi, direttore dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, prova invece a guardare la notizia da un’altra angolatura. “Sicuramente ogni taglio di risorsa precedentemente stanziata non può che essere positivo. Non ne possiamo andare orgogliosi, ma vorrei che ci soffermassimo anche sulla cifra, 300 milioni di euro. In valore assoluto, tanti. Ma in senso relativo? Alcuni ragionamenti secondo me ci devono essere. In primis, alcune startup – anche italiane – da sole raccolgono 300 milioni di euro. Certo, poche e non il target, ma deve essere chiaro che la cifra di per sé non è cosi stratosferica. La revoca è per me più un segnale, che un atto con effetto di per sè misurabilmente importante. Piuttosto, perché non proviamo a investire questi soldi per favorire l’incontro con investitori italiani e esteri? Perché non creiamo davvero delle iniziative di sistema che supportino il tessuto imprenditoriale e facilitino le startup – ma solo le meritevoli per idee, tenacia, risultati, prospettive? Perché non abbandoniamo l’idea di dare fondi e poi riaverli “in kind”? Perché non pensiamo a un vero polo nazionale e abbandoniamo le logiche di diffusione locale che ci caratterizza? Perché non ci mettiamo veramente a decidere se vogliamo che le startup siano una risorsa per il Paese? Se si, bisogna investire e essere concreti, al di là di un singolo fondo”.

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Andrea Turco

E’ il Direttore Responsabile di Insurzine. Ha collaborato con Radio Italia, Libero Quotidiano, OmniMilano e Termometro Politico