
Gli “unicorni“, ovvero le startup innovative non ancora quotate in Borsa, valutate almeno un miliardo di dollari, sono uno dei segnali dell’esistenza di un ecosistema dell’innovazione ricco, variegato e che funziona. Gli unicorni europei sono solo 70, circa il 14% del totale. Un numero ancora troppo basso se si considera che l’Europa ospita al suo interno il 36% delle startup mondiali, secondo una ricerca condotta da McKinsey.
Se il 2022 è stato un anno complicato per la raccolta di capitale il 2023 non si presenta più semplice e la possibilità che alcuni Unicorni su cui si erano puntate le migliori aspettative possano uscirne scornati – o non trovando più il capitale necessario per svilupparsi (specie quelle non ancora in utile) o che stante errori di scelta strategica sul business decidano di cambiarlo e modificarlo radicalmente con rischi di credibilità e affidabilità – è molto alta.
E gli azionisti che hanno scommesso su queste realtà cosa faranno? Ridaranno fiducia agli stessi manager che hanno fatto fallire i progetti iniziali o ne chiederanno la testa riscommettendo su altri manager con ulteriori esborsi di danaro?
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