
Poco più di un’azienda su quattro è dotata di un piano di Disaster Recovery, con un’incidenza leggermente più elevata riscontrata tra le medie imprese (31%). A rivelarlo è l’indagine condotta da Bva Doxa e commissionata da Aruba sul tema della conservazione e sicurezza dei dati, e, in dettaglio, sulla disponibilità di piani di Disaster Recovery nelle Pmi italiane.
Disaster Recovery: non più un piano B
Secondo il sondaggio, nel 2022 le aziende non vedono più il Disaster Recovery come un piano B, ma come una componente basilare da considerare in fase di progettazione. Ripristinare l’accesso e la funzionalità dell’infrastruttura IT a causa di attacchi informatici, interruzioni e guasti, rappresenta per le aziende la soluzione “as a service” più importante da implementare per garantire la propria business continuity. Eppure, il 73% delle Pmi italiane non è dotato di un piano di Disaster Recovery. Invece sono più incoraggianti i dati legati al segmento degli esercizi pubblici, quali alberghi, ristoranti e bar: in questo settore a disporre di un piano di Disaster Recovery è il 49% degli intervistati.
Stando ai risultati della ricerca, il 68% delle Pmi intervistate non è interessato ad introdurre piani per il ripristino dei dati neanche nel lungo periodo. Più in dettaglio, è l’80% delle piccole imprese a non pianificare l’adozione di un sistema di Disaster Recovery neanche nel prossimo futuro, a fronte del 53% delle medie imprese. Eppure, come già reso noto in una recente survey targata Bva Doxa-Aruba, 7 aziende su 100 hanno sperimentato una perdita di dati nel corso degli ultimi anni, subendo in media un downtime di quasi 2 giorni e con danni economici non quantificabili per il 43% degli intervistati. Infine, nella stessa indagine Aruba e Bva Doxa hanno rilevato che una Pmi su 4 dichiara di non disporre neanche di una soluzione di backup; attestando, invece, al 57% la percentuale di aziende dotate di un backup in cloud.
“Backup e Disaster Recovery hanno due scopi profondamente diversi ma al contempo complementari. Il primo mira a salvaguardare il dato in seguito a cancellazioni, errori umani o in generale perdita dati. Il secondo protegge il sistema nel suo complesso, compreso il sito di erogazione, garantendo una ripartenza in tempi certi ed in qualunque circostanza, anche a seguito di disastri ambientali o catastrofici, andando quindi oltre il concetto di dato ed includendo invece tutto quello che gli orbita intorno – ha commentato Lorenzo Giuntini, Cto di Aruba – Visti i pericoli, anche potenzialmente disastrosi, a cui si espone un’azienda priva di questi servizi, la strategia più corretta per la sua tutela è quella di implementare entrambe le soluzioni.Per farlo non esiste un’unica via: la scelta delle soluzioni e delle modalità più adatte passa attraverso un’attenta analisi dei rischi, la classificazione dei dati e la definizione del perimetro di protezione. Solo in questo modo è possibile costruire l’infrastruttura più adeguata a garantire e ad assicurare la continuità operativa aziendale in ogni condizione”.
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